La matita

Per legarmi i capelli uso in genere una matita, una penna o un pennello. Stef ha provato più volte ad addomesticarmi all’uso dei più convenzionali fermagli, regalandomene di forme, colori, valore, applicazioni possibili e materiali diversi. Ma non c’è niente da fare, torno sempre alle mie matite, penne (tipo bic per la precisione) e pennelli. Li trovo molto più funzionali, sia per l’aspetto dell’uso da acconciatura, sia per poterli usare nella versione originale, e cioè scrivere o disegnare o dipingere. Per esempio, ricordo bene di aver firmato il contratto di acquisto della nostra casa con la penna che avevo tra i capelli, non se ne trovavano altre che funzionassero. O, anche un pennello, può essere benissimo intinto nel vino rosso, nel caffè, nell’aceto balsamico o nella salsa di soia per dipingere sulle tovagliette di carta o sui piatti vuoti nei momenti di noia al bar o al ristorante. E la matita poi è il top, con la matita si può scrivere ovunque, non si secca, è ecologica, ed è un simbolo di libertà: Malala ha detto di sognare una matita magica per disegnare un mondo migliore, un mondo di pace. O, più concretamente, per disegnare una serratura sulla porta per non far entrare i suoi fratelli! O Iqbal, il bambino che ha lottato contro lo sfruttamento del lavoro minorile, ha detto che gli unici strumenti che un bambino dovrebbe avere in mano sono la penna e la matita.

Con queste premesse, quella mattina prima di andare al lago, ho scelto di intrecciarmi una matita tra i capelli. Il pennello scartato perché in mezzo all’acqua non ne vedevo i vantaggi, la penna scartata perché avevo timore che cadendo potesse affondare (non ho mai provato, ma credo di sì). Dopo una piacevolissima ma stancante escursione in canoa, ci siamo concessi (Stef, io e due figlie) un passaggio con un battello per arrivare ad un paese dall’altra parte del lago. Ero seduta sul pontile e pensavo alla mia matita che era rimasta tutto il tempo ben ferma in testa, che se con la canoa mi fossi fermata su uno scoglio per riprendermi dalla stanchezza e se non avessi avuto più le forze per ripartire, l’avrei potuta usare per infilzare una bella carpa di quelle che si vedevano nuotare pigramente in acqua, o avrei potuto scrivere un messaggio da chiudere nella bottiglia che avevo nello zaino per chiedere aiuto, o avrei potuto disegnare dei graffiti sulla roccia, per lasciare un pensiero ai posteri, o…nel bel mezzo dei miei pensieri la matita si è divincolata dall’ancoraggio dei capelli, è caduta nella fessura tra due assi del pontile ed è finita in acqua. Disastro! Ma come avevo predetto la matita galleggiava. C’era ancora la speranza di recuperarla. Ho guardato Stef e lui ha subito capito che doveva fare qualcosa, in realtà volevo solo compassione, non avrei mai accettato che si gettasse in quel punto del lago con l’acqua così torbida! Abbiamo osservato insieme il percorso della corrente, avrebbe trascinato la matita verso riva e lì l’avremmo presa con facilità. Intanto si è avvicinata un’anatra curiosa. Ecco, sono certa che la prenderà col becco e me la porterà, a volte non riesco proprio a staccarmi dai sogni. L’anatra ha osservato la matita come se si trattasse di un pesce modificato reduce da un disastro nucleare, ed ha pensato bene di tenersene alla larga. È andata via. La delusione per il sogno infranto mi ha fatto ricordare le qualità della matita che Coelho ben descrive ne La storia della matita: 1, devi guidarla tu (che rimanda al senso di trascendenza); 2 ogni tanto bisogna temperarla (il senso della sofferenza); 3 bisogna cancellare qualcosa di sbagliato (la giustizia); 4 non è importante il legno esterno, ma la grafite interna (l’interiorità); 5 lascia sempre un segno (la coscienza delle proprie azioni). E con tutte queste meravigliose e profonde riflessioni, come avrei potuto abbandonare una matita in un lago?

Intanto è arrivato il battello. Il cuore mi batteva forte. Che fine farà la mia matita? Madre Teresa diceva di sentirsi una matita nelle mani di Dio. Io mi sentivo quella matita, nelle mani di un destino che mi faceva paura. Il battello ha attraccato, e per miracolo la matita era proprio lì, quasi attaccata alla carena, bastava salire e sporgersi un po’ per prenderla. Una volta scesi tutti i passeggeri e arrivato il momento di salire la matita si era allontanata. Stef continuava a guardarmi, questa volta gli si leggeva finalmente compassione, non si sarebbe buttato dalla barca dando spettacolo! Il mio cuore continuava però a battere e a soffrire. Il cervello gli diceva, è solo una matita, ne hai tante altre, vale neanche un euro! Ma il cuore si sentiva ancora più incompreso e straziato. E come accade spesso nei momenti di disperazione, arriva il coraggio più improvviso. Quando eravamo finalmente tutti seduti e pronti per partire:

– Mi scusi, posso farle una richiesta inusuale?

– Ma certo, me ne fanno tutti i giorni!

– Si può avvicinare a quella matita per farmela raccogliere?

Il barcaiolo ha guardato in acqua:

– Ci provo, ma è in un punto dove l’acqua è un po’ bassa, rischio di rompere il motore.

Non riuscivo a dire che allora faceva niente, non valeva la pena rischiare un motore, non ci riuscivo.

Il battello ha fatto poche manovre, è andato un po’ indietro, e la matita gli si è accostata come un naufrago che ha trovato finalmente salvezza! L’uomo ha lasciato un attimo il timone e si è sporto per recuperarla.

– Ecco a lei!

– Grazie, lei è un eroe. – Non mi sembrava il momento di raccontargli tutta la storia che c’era dietro e così gli ho semplicemente detto che ne avevo bisogno per legarmi i capelli!

Lui ha prima accennato ad un sorriso, poi si è fatto serio e dubbioso, ed infine ha guardato Stef con lo stesso sguardo di compassione che prima mi era stato rivolto. Gli uomini!

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