Zoom

E ancora Ermanno Olmi. Leggo dal suo libro L’Apocalisse è un lieto fine: “ Nella seconda metà degli anni cinquanta la nuova tecnologia iniziò a smuovere i meccanismi ancora ingenui del cinema: migliorarono gli obiettivi, i sistemi di proiezione, la macchina da presa. Lo zoom fu una vera rivoluzione e diede nuove possibilità di linguaggio. Tutti volevano girare i loro film con lo zoom e, presi dall’entusiasmo “zoomavano” in continuazione anche oltre il buon senso.”

Oggi la rivoluzione l’ha portata un nuovo zoom: Zoom, l’applicazione che ci mette tutti insieme in primo piano per collegarci e comunicare con più persone, anche centinaia, contemporaneamente. Il suo ideatore, Eric Yuan, l’aveva desiderata da tanto tempo, da quando ancora era fidanzato con quella che adesso è sua moglie e per vederla doveva fare 10 ore di viaggio. Quindi diciamo che è stato l’amore ad ispirare Eric, è stato un desiderio d’amore. E chissà se avrebbe immaginato il successo che sta avendo questa applicazione a seguito delle restrizioni da pandemia. Si è scoperto che non è necessario fare chilometri per andare al lavoro ma si può rimanere comodamente a casa e avere riunioni anche importanti con una bella camicia stirata e i pantaloni del pigiama, tanto davanti allo schermo siamo come i presentatori dei telegiornali, nessuno li ha mai visti dalla vita in giù. Possiamo partecipare o far finta di partecipare alle lezioni, togliendo la modalità video così nessuno sa che cosa facciamo in contemporanea. Possiamo vedere contemporaneamente tutti i parenti sparsi per il mondo e fare una gran confusione in un luogo neutro e virtuale e nessuno alla fine deve mettere in ordine o lavare i piatti per tutti. Possiamo seguire tante conferenze e presentazioni su temi e argomenti che non avevano prima mai neanche sfiorato la nostra attenzione, ma adesso possiamo farlo anche sdraiati sul nostro letto. Insomma, Zoom ci ha dato il dono dell’ubiquità, possiamo essere in più posti contemporaneamente e con quante più persone allo stesso tempo e poter accedere a tutto lo scibile…Ma, e la persona che è accanto a me, quella che vive sotto il mio stesso tetto, mi accorgo che c’è? Il mio vicino, ho un minuto per lui? Il panettiere, ho tempo per un sorriso?… Non voglio rischiare di “zoomare” oltre il buon senso. Vorrei lasciare che Zoom fosse soltanto una risposta ad un desiderio d’amore.

Anno nuovo

C’è stata una serata, di queste passate in casa in famiglia nei giorni di festa, in cui alle mie figlie è venuto spontaneo di fare delle riflessioni sul 2020 e anche più in generale sul passato ed il futuro. Visto che cercavo un’ispirazione per un post per iniziare col “botto” il 2021, ho deciso di condividerne alcune.

– Il 2020 non è stato poi così male, a parte tutte le cose brutte che sono successe nel mondo!

– In fondo, abbiamo avuto il tempo di lavorare su noi stessi.

– E’ stato un anno molto pulito, tutti ci siamo lavati sempre le mani.

– Non lo consiglio a chi viaggia nel tempo. Skippatelo.

– Mi aspettavo di meglio.

– Le paghette a volte sono saltate a causa del lock down e lo stato non ha garantito un sostegno.

– Io lo sconsiglio a chi è fragile di cuore o ha malattie pregresse.

– Io ringrazio i miei genitori per avermi fatto una sorella ogni volta che gliel’ho chiesto (anche se nel 2020 non è arrivato niente)

– Si sono visti più animali in città, c’è stato meno traffico e aria più pulita.

– Il movimento degli “Abbracci gratis” ha subito un grave colpo: anche se i promotori dicono che fanno bene alla salute, gli immunologi non ne hanno voluto sapere. Abbracci rinviati.

Cari Cipollini che leggete, cosa augurarvi per questo nuovo anno? Bè, visto che ancora per un po’ dovremo vivere nelle misure restrittive, credo che invece di abbatterci per tutto quello che non possiamo fare, possiamo lavorare sulla prossimità: una prossimità nello spazio e nel tempo, qui ed ora. Cerchiamo chi ci sta più vicino e che cosa è essenziale oggi. Sono certa che ci si apriranno prospettive inaspettate. E concludo con una frase del saggio Ermanno Olmi: “Il futuro ci giudicherà per quello che potevamo fare e non abbiamo fatto”.

Allora, rimbocchiamoci le maniche!

Tre cammelli e sei gobbe

C’era una volta, in un paese un po’ vicino e un po’ lontano, un cammello con due gobbe vuote. Gironzolava tutto solo tra le dune del deserto e si annoiava. Qualche volta disegnava linee sulla sabbia e giocava a tris. Ma vinceva sempre lui e si annoiava. Qualche volta lanciava un bastone lontano e poi andava a riprenderlo. Ma faceva tutto lui e si annoiava. Qualche volta cantava a squarciagola contro vento, ma nessuno poteva sentirlo, e si annoiava. Qualsiasi cosa decidesse di fare, alla fine si annoiava. Perché era troppo solo e si annoiava di annoiarsi. Forse anche il suo cuore era un po’ vuoto, come le sue gobbe. O era spento. Non voleva crederci, ma quando qualche pensiero a proposito lo sfiorava iniziava a sentire freddo, e allora cercava di non pensarci.

Un giorno finalmente passarono due cammelli. Tutti e due con le gobbe vuote come le sue. Altre quattro gobbe vuote. Più le gobbe del nostro cammello di prima fanno sei gobbe vuote. Non era certo un bello spettacolo da vedere. Anche a metterli insieme in un problema di aritmetica per imparare le moltiplicazioni, non se ne ricavava un granché.

Provarono a fare amicizia, ma si perdevano nei loro vuoti. Quando giocavano a tris litigavano per chi avesse il turno. A lanciare il bastone erano tutti d’accordo, ma poi nessuno voleva andare a riprenderlo. A cantare insieme, facevano scappare i serpenti. A guardare bene, sembrava che in tutto ci fossero tre cuori spenti in quei cammelli con le gobbe vuote, una vera tristezza.

Passarono alcuni giorni o forse mesi. Mesi lunghi e mesi corti. Mesi pieni e mesi vuoti. Una notte, alla luce di tre lanterne, si avvicinarono tre uomini. Camminavano con passo stanco ma deciso e non si accorsero dei tre cammelli con sei gobbe vuote che dormivano di un sonno senza sogni. E inciampando li svegliarono. Gli uomini erano vestiti con stoffe preziose e si presentarono dicendo di essere dei re. Re speciali, re magi, che studiavano il passato, affrontavano il presente e vedevano il futuro. Non erano arroganti però, anzi erano gentili e disponibili, sapienti e buoni. Erano di quel genere di uomini che non se ne trovava spesso a quei tempi in quel paese un po’ vicino e un po’ lontano.

I tre re avevano tre doni da portare ad un altro re. Raccontarono una storia molto strana. Stavano seguendo una stella che li avrebbe portati dal re dei re, un re che era il più ricco dell’universo ma non possedeva niente. Un re che avrebbe vinto tutto il mondo e la morte perdendo tutto. Era una storia davvero strana e poco credibile. I cammelli erano ancora annoiati. Anzi più di prima. Ma quando i re magi proposero loro di aiutarli a raggiungere quel re, le loro sei gobbe, con un impulso involontario, si drizzarono come le orecchie di tre conigli. Come un brivido di freddo quella pelle floscia aveva reagito ad una proposta semplice e imprevista. I cammelli pensarono che se anche quella storia fosse stata solo una barzelletta che non faceva ridere, magari viaggiando insieme ci avrebbero guadagnato qualcosa. I re buoni offrirono del cibo ai loro amici e dopo averli fatti riposare con un sonno di bei sogni, partirono in direzione della stella più luminosa.

Camminarono per giorni o forse mesi. Mesi corti e mesi lunghi. Mesi tutti pieni. Perché la noia dei cammelli era sparita, insieme al tempo. Raggiunsero la stella di pomeriggio tardi, per la notte era presto, e il cielo era appoggiato sul tetto di una stalla. E sotto la stella sulla stalla c’erano sei angeli: l’angelo della pace, l’angelo della misericordia, l’angelo della giustizia, l’angelo della consolazione, della mitezza e della povertà. Tutti indicavano la porta della stalla. I magi entrarono commossi offrendo i loro doni, e i cammelli rimasero a guardare dalla porta. C’era il calore del respiro di un bue e di un asino. In fondo, alla tenue luce di una candela, c’erano una donna bellissima, un uomo buono e un re bambino. Un re in una stalla, non si era mai visto. Neanche nel paese un po’ vicino e un po’ lontano. Un re in una famiglia di tre.

I magi porsero i doni al re piccolo piccolo e questo invece che ringraziarli come poteva, era pur sempre un neonato che può solo piangere o ridere, volse lo sguardo verso i cammelli che riempivano l’uscio con le loro teste, e un po’ anche con la loro puzza. Li guardò, fissandoli, e sorrise. In quel sorriso c’erano tutti i doni degli angeli: c’era la pace, c’era la misericordia, la giustizia, la consolazione, la mitezza e la povertà. Un re piccolo piccolo con un sorriso così potente accese tre cuori di cammello. Se questa non è magia! I cammelli infatti iniziarono a sentire qualcosa dentro, come una fiammella che scalda. I cuori si accesero così bene che fecero partire un coro di canti d’amore. Anche tre cammelli che cantano insieme canzoni d’amore era uno spettacolo straordinario e a dire il vero non tutti riuscivano ad apprezzare. Perché per quanto fossero ispirati avevano comunque una voce un po’ roca e un senso del ritmo un po’ camelide che non si addicevano tanto ad una scena con un re bambino, una stella luminosissima, gli angeli e il cielo appoggiato sul tetto della famiglia reale. Perciò i magi dovettero uscire presto per allontanare i tre cammelli con i loro cuori troppo ben accesi, e far largo alla fila di sudditi che erano venuti ad ammirare quel bambino.

C’erano pastori, ministri, avvocati, soldati, calzolai, infermieri, cuochi, economisti, insegnanti, artigiani e artisti…uomini e donne. I tre magi ripresero il cammino in groppa ai tre cammelli con le sei gobbe piene e i tre cuori accesi. Camminarono per giorni, forse mesi e forse anni. A volte si fermavano a giocare a tris sulla sabbia tutti insieme senza litigare, a lanciare il bastone e a riprenderlo, anche se quando erano i cammelli a lanciarlo e i magi a riprenderlo non c’era sempre buon umore. E in quanto a cantare, le voci erano sempre quelle, ma insieme ai magi si divertivano e cercavano di non farsi sentire almeno quando erano in quel paese un po’ vicino e un po’ lontano dove i cammelli li conoscevano tutti. Camminarono, camminarono mentre il re bambino cresceva e faceva cose meravigliose e vinceva il mondo e la morte perdendo tutto. È una storia strana questa e forse poco credibile. Ma è vera. E se si contano tre cammelli, sei gobbe, tre magi, tre doni, tre lanterne, una stella, sei angeli, un re bambino, una donna bellissima e un uomo buono, un bue, un asinello e tre cuori accesi, fanno in tutto 33. E con questo numero finisce una storia e ne inizia un’altra, ancora più incredibile.

Il kaki

Non è un sempre verde abete,

ma un albero spoglio

che conosce quel Natale

che non ha portamonete.

Non ha luci,

ma riflette la luna

come un mare calmo,

e illumina i visi cupi.

Non ha addobbi,

ma è ricco di doni

tondi, arancio e maturi,

che elargisce senza eccezioni.

Non sta nelle case,

ma fuori al freddo

a dare conforto

a chi non ha tetto né cose.

Non è alto né basso

né magro né grosso.

Un kaki è così:

per chi ama ciò che non ha costo.

Un uovo con 3 rossi

Era un segno premonitore. Nei giorni scorsi, ancora presa dalle immagini ovunque di Maradona e dei suoi goals, e anche sollevata dall’ultima vittoria della mia Juve sul Barcellona, cercavo di ricordare la formazione bianconera alla quale sono più affezionata: forse perché ha vinto tanto e forse perché le squadre non cambiavano completamente ogni anno! Comunque, mi tornavano in mente i nomi di Zoff, Gentile, Cabrini, Bonini, Brio, Scirea, Bettega, Tardelli, Platini, Boniek…10 nomi, ne mancava uno. E ricominciavo a dirli uno ad uno, ma restavo sempre a 10. Stamattina la triste notizia mi ha ricordato chi mancasse. Paolo Rossi, un nome discreto, non si fa notare, ma un calciatore grande ed un uomo gentile ed altruista, come in tanti lo hanno ricordato.

Mi torna in mente la storiella che girava quando Pablito aveva segnato 3 goals al Brasile ai mondiali dell’82, con la sua bella maglia azzurra:”Il portiere del Brasile torna a casa afflitto e per tirarsi su decide di prepararsi una frittata, ma poverino, quando rompe l’uovo ne vengono fuori 3 rossi!”

Adesso Pablito e Maradona possono organizzare dei bei tornei lì in Cielo, senza la pressione degli sponsor e delle società. Niente episodi di razzismo e violenza. Si giocherà per divertimento e per spettacolo. E che divertimento, che spettacolo!

Il tempo birichino

Il tempo degli uomini

è un tempo birichino.

Va avanti con ritmo

e poi si ferma un pochino.

E’ fermo il tempo del neonato,

fuso in due morbidi pianeti

della via lattea materna,

quando sta a questi attaccato.

Non c’è tik tok di pendolo

per due bambini allegri

che a turno il cielo toccano

spostandosi sul dondolo.

C’è la campana di inizio a scuola

e quella della fine.

Ma in mezzo il tempo è prigioniero

di chi ti guarda con due occhi verde aiuola!

Col pallone o i videogiochi,

con le amiche a raccontar segreti,

con i giovani di far festa sempre lieti,

ore e giorni sono sempre troppo pochi!

Il lavoro ha tempi certi a volte,

a volte non ha orari.

Ma la pausa del caffè

è un “eterno”, senza ma e senza se.

L’amore vero porta sempre frutti.

Di tanto, i frutti son di carne:

il primo figlio, che miracolo!

L’ora è ferma: lieto annuncio per tutti!

E il frutto cresce, si stacca, che dolore!

Veloce corre la lancetta,

l’adolescente fa la guerra alla pace e all’amore!

Ma il tempo dell’albero è fermo e aspetta.

I due amanti si ritrovano

con qualche ruga, qualche acciacco,

ma di nuovo senza figli, soli.

Niente corse, via le ore, perbacco!

Ci sono le foto dei ricordi:

Quello non c’è più! neanche l’altro! neppure lei!

Quando toccherà a me?

Sfoglio gli album, ancora uno, e son le sei!

E quando il passato diventa un libro di storia

e il futuro forse poche righe arrangiate,

resta il mistero del sentire dentro la gioia,

perchè l’Ora è quasi arrivata, e nell’ Eterno non ci sarà noia!

Los Cebollitas

Le cipolle c’entrano anche questa volta. La prima squadra in cui ha giocato Maradona (già a 10 anni) si chiamava “Los Cebollitas”: era un gruppo di ragazzini poverissimi ma pieni di vita messo insieme da Francis Cornejo. Erano tutti piccolini per la loro età (a causa della scarsa alimentazione) e perciò l’allenatore li chiamò Cipollini. Los Cebollitas vinse 136 partite di seguito, 1 torneo Peron e 2 campionati, e regalò al mondo quello che non si può definire solo un calciatore, ma un artista: Maradona. Non entro nel merito delle vicende private di questo uomo, ma è chiaro a tutti che in campo era “una installazione vivente” e ogni volta nuova. Seguire i suoi piedi era come seguire un ricamo sull’erba, vedere la palla obbedirgli era come assistere a un gioco di prestigio. Io sono stata battezzata alla fede bianconera, e quando lui vinceva tutto in Italia il mio cuore seguiva Platinì. Ma le opere d’arte bisogna riconoscerle e non provare a fare paragoni: Maradona con le sue azioni sul campo ha regalato a tutti tanta bellezza. E di questo dobbiamo ringraziare anche il signor Cornejo, che ha avuto il coraggio di dare un’opportunità a dei ragazzini che giocavano nella polvere delle strade, e tra loro ne è emerso un grande talento. Facciamo il tifo per tanti e nuovi “Los Cebollitas”.

Giacomino e Luisella (e un pidocchietto)

Una favoletta d’amore sincero per ricordare il 25 Novembre, giornata contro la violenza sulle donne.

Giacomino era un bambino molto gentile, ma anche molto timido, e non sapeva come chiedere a Luisella se voleva diventare la sua migliore amica. Luisella era bella, allegra, intelligente e sapeva giocare a calcio meglio di tutti i maschietti del gruppo. Era facile prendere una cotta per lei. E Giacomino era cotto, fritto e arrostito, non faceva altro che sognare Luisella, vedere Luisella dappertutto, pensare a Luisella, sorridere a Luisella, ma le parole non venivano. I pensieri belli e gentili per Luisella rimanevano nella testa. Un giorno un pidocchietto che approfittava della sua ospitalità ormai da una settimana, si accorse di tutti quei pensieri che rimanevano in testa inespressi e quando, arrivata Luisella a scuola, Giacomino iniziò ad agitarsi e fremere da tutti i pensieri d’amore sincero, gli succhiò il sangue, e col sangue un bel pensiero dolce e gentile da portare a Luisella. Poi il pidocchietto corse dalla bambina e le iniettò il pensiero di Giacomino. La storia andò avanti per un po’, e ogni volta che Luisella aveva prurito in testa, subito dopo sentiva anche un pensiero d’amore, dolce e gentile. Ma non capiva da chi venisse. Fino a quando, dopo alcuni anni, Giacomino si fece coraggio, chiese a Luisella di sposarlo con le stesse parole che aveva sempre in testa e viaggiavano col pidocchio. Luisella le riconobbe e ne fu strafelice, immaginava che certe parole potessero venire solo dall’animo puro e innamorato di uno come Giacomino. Rispose: Sì. E ancora adesso non se ne è pentita. Perché Giacomino trasforma ogni pensiero bello in un gesto d’amore.

E il pidocchietto trovò un’altra testa, di una ragazza timida e delicata. Era un pidocchietto che amava il sangue dolce.

Pidocchi e Covid

Si parla molto di specie a rischio, di animali che, come i dinosauri, le tigri di Java, i delfini di Baiji River, gli stambecchi dei Pirenei, corriamo il rischio di non vedere più. Giorni fa c’era in televisione un servizio sulla giraffa bianca, della quale sono rimasti pochissimi esemplari a causa dell’azione dei bracconieri. A volte il rischio di estinzione è dovuto alla caccia incontrollata, a volte a fattori ambientali, riconducibili sempre all’azione sconsiderata dell’uomo. A volte invece le specie riescono sorprendentemente a sopravvivere a disastri nucleari, grandi variazioni di temperature, forti modificazioni della composizione dell’aria, avvelenamenti delle falde acquifere, shampoo antiforfora, lisciaggio brasiliano, piastra in ceramica…è il caso dei pidocchi. Il pidocchio, o Pediculus humanus capitis, ha attraversato il corso dei millenni, ha visto quello che nessuno storico o archeologo riuscirà mai a far testimoniare, ha assistito allo svolgersi della nostra storia, attaccato alle nostre teste! Mi viene anche da immaginare un pidocchietto che, come il topolino del film Ratatouille, tirando i capelli a destra e a sinistra, dirige famosi condottieri come Scipione l’Africano, Giulio Cesare, Napoleone, Garibaldi..O l’Arca diNoè, in cui dopo i grandi mammiferi, gli uccelli, i pesci, i rettili, gli anfibi, arrivano gli insetti, e tra questi, i due pidocchietti maschio e femmina che una volta a bordo si aggrappano direttamente ai capelli di Noè. Però, seppur questa immagine onirica possa suscitare simpatia, avendo una famiglia con 6 teste adornate da folti capelli lunghi, non è difficile immaginare quanto queste bestioline siano da noi temute e osteggiate. Non solo, nel tempo hanno anche occupato un posto non piccolo nel bilancio familiare, perché la spesa per i prodotti killer ammontava a volte a più di quella per il vitto. Per di più, il desiderio di vivere di queste bestioline, che hanno sviluppato una strategia di difesa con lendini più resistenti dei batteri termofili, ha tanto da arricchire le nostre riflessioni etiche sulla vita e sulla morte. Tuttavia, la riflessione di oggi, va al legame tra pandemia da Covid e pidocchi. Stiamo assistendo ad una guerra silenziosa ma drammatica, ogni giorno il numero di contagi da virus e di morti aumenta anche se grazie al cielo sembra che a breve avremo a disposizione alcuni vaccini. La strategia che però fino ad ora sembra vincente per arginare i contagi, è quella che chiamiamo distanziamento sociale, stiamo cioè il più possibile lontani gli uni dagli altri per non permettere al virus di passare da ospite in ospite. Ma questa strategia dovrebbe impedire anche ai nostri piccoli nemici di diffondersi tra le teste e colonizzare il pianeta. E’ già da un paio di anni che nella nostra famiglia non si vedono ospiti inattesi, ma in genere, alla riapertura delle scuole, c’è anche un rinnovato scambio di parassiti. Attraverso questo blog vorrei fare un appello alla comunità scientifica, politica, sanitaria e civile. A breve mi auguro che saremo fuori dall’incubo Covid, ma il distanziamento sociale, o almeno “capitale” (nel senso dei capi, teste), teniamolo! Salviamo le giraffe bianche, ma i pidocchi ricordiamoli attraverso foto, video, fossili, disegni e … basta; che nessun bambino al mondo debba sopportare più la tortura del pettine a denti stretti, che nessun adulto debba più entrare in una schizofrenia da prurito, che gli scarichi delle nostre acque non debbano più riempirsi di shampoo insetticida. A volte l’uomo deve spendersi per la salvaguardia del creato, a volte (credo, mi lascio solo un piccolo dubbio) è importante che l’uomo si difenda e salvi dal creato!

P.S.: Una volta un sacerdote mi ha detto che in paradiso ci sono anche gli animali…nooooo!

Testa di rapa

Non era nato così Testadirapa. Era nato come un bambino normale, innocente e gioioso. Da piccolissimo succhiava il latte della mamma e dormiva come un angioletto. Era paffuto e morbido come un cuscino. Da bambinetto correva, si arrampicava sugli alberi, giocava a palla con gli altri bambini, volava in bicicletta e sopportava la scuola. Da ragazzo però, iniziarono i primi cambiamenti. E non parlo di quelli usuali e naturali come il cambio della voce e la prima barba, ma cose nuove che nessun medico riusciva a spiegare. Il viso diventava sempre più rotondo, pallido e duro, e i capelli non riuscivano a stare a posto, erano spessi e fibrosi, e il loro colore passava dal biondo, al quasi bianco, al verde chiaro..fino a diventare, in fase adulta, delle vere cime di rapa! Per questo tutti, grandi e piccoli, avevano iniziato a chiamare quell’uomo particolare Testadirapa. E Testadirapa non aveva alcun imbarazzo a mostrarsi in quel modo, anzi, interpretava la sua metamorfosi come una manifestazione di superiorità rispetto agli altri uomini ed esseri viventi in genere. Si improvvisava medico, scienziato, politico, mediatore, saggio, sacerdote, sentenziando suggerimenti di ogni genere per ogni situazione. Per esempio, consigliava di curare l’influenza con la cera per pavimenti, negava l’esistenza della varicella, suggeriva di cancellare alcuni paesi dal mappamondo, predicava di aiutare i poveri tenendoli lontani e a volte credeva di essere Dio. Ovviamente nessuno gli dava retta, o solo in pochi, ma lui non aveva bisogno di essere apprezzato, gli bastava lo specchio e dargli conferma della sua superiorità mostrandogli quel bel faccione con la corona di erba. Un giorno, mentre riposava sdraiato su un prato dopo aver giocato a golf, un bambino riuscì a strappargli le rape e a portarle alla mamma.

– Guarda che bei fiori ti ho portato mamma!

– Ma queste sono rape! Preparerò una buona ricetta con la pasta.

Intanto Testadirapa, specchiandosi allo specchio della macchinina da golf, urlò al complotto:

– Chi mi ha rubato la corona? Chi ha osato tanto! Testadirapa sono soltanto io!

E per qualche giorno in paese ci fu un po’ di turbolenza per via della sua irrequietezza e per il fatto che nessuno aveva il coraggio di dirgli la verità: e cioè che in testa aveva soltanto verdure, niente di più. Solo il bambino, quando lo incontrò e lo riconobbe riuscì ad affrontarlo:

– Sai che le tue rape erano buonissime? E la mamma mi ha anche perdonato una marachella grazie a quelle!

– Brutto furfante, sei stato tu? Così piccolo e già così disonesto? – e Testadirapa cominciò a rincorrerlo.

– Ma stai calmo, guarda che le tue verdure ti stanno già ricrescendo in testa!- il bambino era velocissimo.

– Le mie verdure? La mia corona! Io sono un re!

– Ma che re! Sei solo una testa di rapa, lo sanno tutti!

E a quanto ne so, sono ancora lì che corrono.

Buon compleanno Rodari

Oggi mi ha incuriosito molto l’immagine del logo Google, perché c’è un volto, ma soprattutto c’è un personaggio a forma di cipolla. Ci ho cliccato sopra ed ho scoperto che è l’anniversario della nascita di Gianni Rodari, il 23 ottobre 1920, e che aveva inventato un personaggio di nome Cipollino. Ho letto diversi libri di Rodari e lo amo molto, ma non sapevo di Cipollino. Adesso lo apprezzo ancora di più., abbiamo una cipolla in comune. Allora, in nome dell’amore che aveva per i bambini ed in particolare per la sua difesa della fantasia tanto da fargli scrivere il saggio “La grammatica della fantasia”, condivido con voi questo gioco di fantasia. Buona giornata mie care Cipolle e miei cari Cipollini!

Il gioco delle filastrocche

Causa forte raffreddore e restrizioni da Covid, mia figlia di 10 anni è rimasta a casa. Ed io con lei. Che cosa fare per non lasciarla davanti alla televisione? Ho inventato con lei il gioco delle filastrocche. Si parte da 3 parole sparate a caso, noi le abbiamo scelte tutte con la stessa lettera iniziale, e si inventano le rime. Non importa il senso delle strofe, né se le rime sono tutte baciate, né badiamo al numero di sillabe, né all’estetica finale. Obiettivo è divertirsi facendo lavorare un po’ il cervello. E poi leggere e rileggere le filastrocche insieme magari canticchiandole un po’. Ecco per esempio che cosa abbiamo creato oggi.

Formica- Farina- Forbici

C’era una volta un dì

che di certo non è qui,

una formica molto bella

ma altrettanto monella.

Con le forbici appuntite

tagliò fini le matite,

così bene, così tanto,

pareva farina che le cadeva accanto.

Bagno- Brodo- Balcone

Mentre Arturo faceva il bagno

vi trovò dentro un ragno.

E giacché l’acqua era ben calda

la bestia morì in una brodaglia calma.

Arturo scioccato uscì dal tinozzone

e gettò il brodo dal balcone.

Hotel- Hot-dog- Halloween

Nell’elegante e ricco Grand Hotel

cantava sempre la famosa Isabel.

Ma quando arrivò la notte di Halloween

si presentarono nientemeno che i Queen!!

Freddie Mercury affamato chiese un hot-dog

e all’istante la sua foto si trovò su un blog!